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La chiesa Santa Domenica ( a Badia)


La chiesa di Santa Domenica fu costruita verso la metà del ‘400. In un manoscritto si legge: “Ecclesiae Sancta Dominica in dicta terra in la quali est confratria.”

In una visita episcopale del 1543 si dice dell’altare maggiore “Cum sua cona tela in qua est spasmus”.

La chiesa venne soppressa nel 1886 e privata del monastero, trasformato in municipio, cominciò a decadere e venne chiusa al pubblico ma, nel 1891, dopo l’arrivo di don Salvatore La Corte, cominciò a rifiorire anche grazie alle offerte del popolo. Continuò la sua opera il sacerdote Nicolò Chimento, diventato rettore nel 1937, che col suo operato la fece elevare a parrocchia il 24/5/1964 e iniziò a festeggiare Maria Ausiliatrice il 24 di ogni mese. Nella chiesa sono presenti le statue di San Filippo di Agira, e dell’Immacolata (XVIII sec.). Nell’altare del crocifisso si ammirano un tabernacolo in argento, un antependium in lamina d’argento su tessuto rosso e due quadri dell’Adorazione dei Magi. Nella sacrestia si trovano un ostensorio dorato e ornato in corallo, dono secentesco dei Branciforti, e un tabernacolo in argento per l’esposizione del Giovedì Santo. Presenti molti quadri e stucchi del ‘600, eseguiti sotto la badessa Romano per 300 onze (1842). Sono presenti ancora le numerose gelosie, poiché la chiesa era annessa ad un convento benedettino di clausura.


Il monastero venne costruito dai Branciforti nel 1400, anche se in un manoscritto del 1700 la sua costruzione viene descritta tramite jure elemosine dal 1534 in poi. Nel 1588, compare in un atto di assegnazione Francesco Lo Scrudato, che doveva versare periodicamente 4 onze per mantenere accesa la lampada della chiesa.


Il monastero accoglieva le figlie delle famiglie povere di Cammarata e dintorni, dove venivano compiuti lavori di tessitura e ricamo. Alcuni abiti sono ancora presenti nella sagrestia.


Nel 1866 la chiesa e il monastero vennero incamerati dallo stato, che mandò alcuni uomini per cacciare le monache anche con al forza. La badessa Veniero, che non voleva abbandonare il monastero insieme alle altre sorelle, dichiarò che se ci fosse stato un atto violento in quella che sarebbe stata la casa comunale, il primo sarebbe stato il suo, e infatti uccise uno degli uomini pronti a cacciarle. Nonostante l’edificio fosse diventato dello stato, il monastero rimase fino al 1874 circa. Tra la prima metà del ‘700 e la prima dell’ ‘800, il monastero cadde in povertà e fu costretto ad indebitarsi con i ricchi. Nel 1848 il conte Lucchesi Palli depositò al banco di Palermo 400 onze per il monastero: 200 furono usate per pagare i debiti e le altre 200 per ristrutturare delle mura cadenti.


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